Molte aziende, quasi tutte, sono pronte a fare uso dell’Intelligenza Artificiale, affascinate dalla possibilità di rendere più veloce ed efficiente l’offerta di servizi, come il customer care, o di contenuti attraverso nuove campagne di comunicazione.
Poche però si rendono conto che l’IA porta con sé tanti possibili paradossi, con ricadute negative sui brand. È sicuro, infatti, che un chatbot sia più bravo a risolvere i problemi dei clienti rispetto a una persona in carne e ossa, addetta al servizio clienti? Non solo. È davvero più funzionale alle vendite una pubblicità creata con l’IA? «No, non è detto. Dipende», commenta Federico Capeci, Ceo di Kantar Italia. «Nel caso del servizio clienti, per esempio, c’è da considerare l’alta probabilità che un consumatore si senta meno preso in considerazione da un risponditore automatico. Se non si relaziona con un altro essere umano, può pensare a un disinvestimento da parte dell’azienda nel curare i rapporti con la clientela. Di conseguenza, si può generare disaffezione al marchio. Invece, spostandosi nel mondo pubblicitario bisogna definire che tipo di politica di branding si vuole fare affidandosi a questa tecnologia. Un paradosso è che un brand investa nell’IA in sostituzione del tradizionale processo creativo per promuovere un messaggio più mirato, ma c’è il rischio di creare valori stereotipati, ricordando che l’Intelligenza Artificiale si alimenta pure di dati fuorvianti tratti dai social»,
E, a proposito di comunicazione, proprio sulla falsa credenza che l’Intelligenza Artificiale sia un oracolo che dispensa verità assolute ha giocato Dove, marca per la cura della persona del colosso Unilever, da anni impegnato nella promozione di canoni diversi e inclusivi di bellezza. Il suo spot mette a confronto la risposta di un qualsiasi ChatGpt alla domanda «qual è l’immagine di una donna stupenda» e il modello che ha in mente Dove. Nel primo caso, fuoriesce un ritratto di donna bionda, magra, con gli occhi azzurri; nel secondo una donna dall’aspetto comune, mora e leggermente in sovrappeso. «Che poi esiste un paradosso nel paradosso», approfondisce Capeci. « le allucinazioni dell’IA (in poche parole anche i falsi risultati dell’IA) possono rivelarsi utili. Anzi, io li cercherei apposta. Perché? Perché anche se non veritieri possono essere spunti interessanti. Succedeva anche nel vecchio mondo analogico, come nel caso di quell’azienda dolciaria che ha creato un marchio tuttora di successo partendo da un’indagine di mercato in cui emergeva che il 5% della clientela era convinto producesse anche un tipo particolare di prodotto. Non era vero. Ma quell’azienda ha colto lo spunto, ha testato il prototipo e, così», conclude il ceo di Kantar Italia, «adesso ha in portafoglio un brand molto venduto».