AI: quando gli effetti speciali diventano sociali

22 ottobre 2024
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Francesca Amato
Francesca
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L’Artificial Intelligence è più che mai polarizzante: i nostri dati Global Monitor rivelano come la popolazione globale sia letteralmente spaccata a metà tra chi la trova “emozionante” e chi la considera “preoccupante”. Eppure, è difficile negare il suo magnetismo: vederla all’opera in fondo ci affascina, ci incuriosisce, suscitando una miscela unica di meraviglia e scetticismo. 
 
Non si tratta solo degli "effetti speciali" che ci regala quotidianamente - se bastasse un tocco di fantascienza e novità, progetti come il Metaverso o i Google Glass non avrebbero avuto difficoltà a decollare. Con l’AI, è come se stessimo ridisegnando – tra le altre cose - tre “corde” fondamentali della nostra esistenza: il tessuto sociale, le nostre relazioni interpersonali e, forse l'aspetto più intrigante, il nostro mondo interiore di valori e convinzioni.

1. Piano sociale: il tramonto del “vedere per credere”

Per avere la certezza di qualcosa si è sempre usato dire “voglio vederlo con i miei occhi”. Oggi, forse questo non è più sufficiente. Le false foto senza veli di Taylor Swift; lo scatto vincitore dei Sony World Photography Awards 2023 (rivelatosi poi merito di un’AI); la voce “rubata” di Scarlett Johansson: questi sono solo alcuni esempi di come in una realtà in cui nulla è più verificabile - e di conseguenza nemmeno falsificabile - le persone si ritrovano a fare i conti con l’incertezza. Non solo delle informazioni che leggono ma anche (e soprattutto) di quello che percepiscono con i sensi.
Questo scenario ci costringe, da osservatori del comportamento umano, a confrontarci con due questioni cruciali:
- L’alba di una nuova autenticità: in un'era dove distinguere il vero dal falso diventa un'impresa, come evolverà il concetto di "autenticità"? Su cosa si fonderà domani e – soprattutto – come la certificheremo?
- Scetticismo vs. ipersensibilità: di fronte ad un mare magnum di stimoli in cui tutto può essere reale e allo stesso tempo fittizio, andremo incontro ad un'anestetizzazione emotiva o, al contrario, svilupperemo una (iper)sensibilità più acuta e analitica? E in che modo questi orizzonti contrapposti determineranno la percezione dell’AI tra entusiasmo e timore?

2. Piano relazionale: l’amore ai tempi dell’effetto Eliza

Il film "Her" l'aveva previsto con sorprendente precisione: non il “semplice” di innamorarsi di un'entità non-umana, quanto l’essere sedotti da una nuova dimensione relazionale che gioca con (e al contempo sfuma) il confine tra artificiale e umano. 
Questo dipende in primis dal grande bias dell’essere umano: proiettare umanità su tutto, sia per una necessità di comprensione che di connessione emotiva. In gergo informatico, questa proiezione di attributi umani su un'interfaccia conversazionale è nota come "effetto Eliza", e ci insegna due cose:
- “Ci siamo lasciati alle spalle il test di Turing, e nessuno ci ha fatto caso”. Così twittava Sam Altman (CEO di OpenAI) lo scorso anno. Conta ancora riuscire a distinguere tra un umano e una AI, oppure il test viene realmente superato quando questa distinzione diventa irrilevante o addirittura obsoleta?
- Accogliamo le “blurred lines”. Da un lato vediamo robot sempre più umanizzati e dall’altro trend di Tik Tok (come il noto NPC - Non-playable character) che ci mostrano creators che ripetono azioni meccaniche impersonando automi da videogiochi. Come “surfare” sul confine sempre più labile tra il desiderio di antropomorfizzazione e quello di “umanità 2.0”? 

3. Piano valoriale: alla ricerca della nuova “cifra” dell’essere umano

L’intelligenza - in senso ampio: immaginazione, genio, intuizione – è sempre stata considerata la cifra dell’essere umano. Non a caso da circa 200.000 anni ci piace farci chiamare Homo Sapiens. Il primo a metterlo in dubbio fu Alan Turing nel 1950, con la famosa domanda “Can machines think?”. Oggi, questo primato appare ancora meno certo, anche per quanto riguarda le competenze che riteniamo più innate e spontanee, tra cui empatia, risonanza emotiva, creatività, estro. In un recente studio pubblicato su PNAS, ad esempio, i soggetti sperimentali hanno valutato come maggiormente empatici messaggi prodotti (a loro insaputa) dall'AI, rispetto a quelli di un altro essere umano.
Se questo ci debba far riflettere su un nuovo attributo da affiancare alla parola “Homo”, è un quesito che abbiamo voluto porre direttamente all’AI (in particolare a Claude, di Anthropic) parlando di creatività.
“Molti sostengono che l'esperienza umana del processo creativo - con tutte le sue lotte, emozioni e momenti di ispirazione - sia parte integrante del valore dell'opera. C'è qualcosa di unico e prezioso nell'espressione umana che va oltre il semplice output. Detto questo, se un'AI produce un'opera d'arte straordinaria, una soluzione innovativa a un problema complesso o un'idea rivoluzionaria, il fatto che non abbia "sentito" il processo creativo diminuisce il valore o l'originalità del risultato?”
 
- Ripensare la creatività e l’empatia. Questa domanda, più che spingerci a trovare una risposta, ci obbliga ad un cambio di prospettiva. Conta ancora chiedersi se la creatività (o l’empatia) sia la cifra dell’essere umano, o piuttosto conviene interrogarsi su quale sia la cifra umana che vogliamo instillare nella creatività, divenuta ormai arena anche della “Machina Sapiens”?
In questo senso Claude ci dà un suggerimento utile: forse l’assenza del processo creativo non modifica l’originalità del risultato, ma sicuramente riduce il valore intrinseco che gli assegniamo. Non a caso, infatti, nella ricerca PNAS citata precedentemente, quando i destinatari scoprivano che il messaggio ricevuto proveniva da un’AI, improvvisamente avevano la sensazione di sentirsi meno ascoltati, meno compresi, meno connessi.

Queste sono solo alcune dimostrazioni di come l’AI non sia solo un prodotto ma un nuovo paradigma, che qualsiasi oggetto studiato, eseguito o guidato da questa rivoluzionaria tecnologia dovrà – da oggi - prendere in considerazione. Anche e soprattutto nel mondo del marketing, che dovrà essere abile a cogliere nuovi modelli comunicativi (sul piano sociale), nuove frequenze di bisogni (sul piano relazionale) e nuovi valori (sul piano personale).

Pubblicato integralmente su Mark Up 2024

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